Interviste

  

  

 

Lettera a Shangai

a cura di Cecilia Freschini

  

http://www.lab-yit.com/sito/?p=1908&lang=it

aprile 2015

 
 
 
L’artista racconta la sua esperienza, emozioni e scoperte fatte durante il periodo di permanenza a Shanghai…

… E’ molto difficile mettere insieme i vari pezzi. Sicuramente è stata una delle esperienze più importanti e complesse che io abbia mai vissuto.

La mia prima volta in Cina. Probabilmente uno dei luoghi oggi più vivaci che si possano vivere nel mondo. Si dice che sei mesi vissuti qui valgono come 6 anni vissuti in Europa.

In un periodo così esteso, apparentemente e sembrerebbe così, ci si rende conto di vivere un incredibile shock. Ma è tutto molto veloce. Una volta ambientati, si è già pronti per ripartire  e lasciare il paese. Qui infatti il tempo assume un’altra dimensione. Sarà che gli stimoli sono ancora di più rispetto ad una qualsiasi altra città europea e forse è proprio il fatto che qui si è costretti prima di tutto ad imparare a vivere in un nuovo sistema sociale, che già imparare ad apprendere meccanismi completamente nuovi ti esaurisce tutte le energie.

Apparentemente, quando si arriva al Pudong Airport sembra tutto molto simile alla società occidentale. Ma lo shock deriva dal fatto che dietro all’apparenza, come ad esempio dietro alla vivacissima e turistica Nanjing Road, la realtà è spesso ben diversa. In facciata si mostra l’Internazionalità, come guardando il Pudong, di bei palazzi, bei negozi di ricchezza ostentata, ma basta girare l’angolo e la realtà è semplicemente lì davanti ai tuoi occhi, completamente diversa.

Così, come quando ti devi avvicinare alle persone, per chiedere informazioni o acquistare qualcosa, la comunicazione diventa una vera sfida. Incontri persone  che si sentono fortemente in imbarazzo e a volte si nascondono persino dietro al bancone del negozio.

Ho speso molto del mio tempo iniziale per capire dove fossi arrivato, come orientarmi, dove trovare i negozi per acquistare cibo, materiali per lavorare, carta, legno, metallo, ferramenta, ecc..

È stato interessante sentire la mia solitudine in tutto questo tempo in un luogo così lontano e diverso da casa: come avvertire le mie emozioni, la mia interiorità, rispetto ad un’esteriorità così rumorosa, diversa, difficile da comprendere.

Lost in Translation.

Dopo un primo periodo speso per orientarmi, mi sono organizzato per sfruttare al massimo questa esperienza.

Quindi ho iniziato a visitare molti spazi dell’arte, prendendo contatto con le persone ad essi connesse. Ero anche molto interessato alla cultura storica e all’attuale situazione sociale e artistica. Ovviamente una vita non basterebbe per sapere tutto questo ma in 6 mesi qualcosa lo si può sempre cogliere. Ho capito infatti quanto fosse necessario essere organizzati per perdere meno tempo possibile.

Ho visitato tutto quello che potevo, camminando moltissimo e spingendomi nei quartieri più disparati, utilizzando la macchina fotografica come “piccolo” laboratorio per registrare i fatti e le cose che vedevo per strada: i vecchi quartieri di una Shanghai che sta scomparendo, dove a volte le persone vivono quasi nelle macerie. Riprendendo rottami, oggetti, frammenti di una realtà alla deriva. Fotografavo anche le vetrine di lussuosi e ricchi negozi. Materiali preziosi, oppure vecchi monumenti, piccole finestrelle che lasciano intravedere vite intime interne,  passaggi nascosti, muri scrostati o cavi elettrici stranamente annodati. Tracce di un passato appena trascorso e costruzioni architettoniche moderne che mescolano stilemi orientali ed occidentali. Ma mi sono anche divertito riprendendo gli allestimenti nei musei, e gli antichi oggetti custoditi, come vasi, delicate calligrafie, geometrie nei dettagli d’antichi vestiti mongoli. Scatole cinesi e piccoli animali di metallo nei mercati dell’antiquariato.

Sono tantissime le cose.

   

Dopo tre settimane di residenza ero stanco di vedere il mio studio vuoto e così dopo un momento di disorientamento ho iniziato ad acquistare materiali e qui l’esperienza è stata ancora più interessante e completamente diversa.

Andare in cerca del materiale giusto, riuscire a comunicare col negoziante per chiedere qualcosa, un grande sforzo e una grande soddisfazione portare nello studio persino una minima cosa.

Ciò che trovo ammaliante: Fuzhou Road, la lunga via della carta, dove miriadi di cartolerie si affacciano sulla strada per vendere tutti i tipi di carte possibili. Oppure Beijing Road per le ferramenta.

Così, già nel primo mese, avevo realizzato alcuni modelli con sottili listelli di legno. Piccole e precarie strutture quasi fossero gabbiette, piccole stanze per proteggere un interno da un esterno. Disegni tridimensionali.

 

Un giorno sono rimasto colpito dalla raffinatezza di certi sigilli o certe calligrafie, d’incomprensibile bellezza.

Ecco, questa incomprensibilità. Questa difficoltà sempre presente, come nelle scatole cinesi. Come nel comunicare con le persone. Come quando soverchi un ostacolo e se ne presenta subito un altro, o come quando mi è capitato di trovarmi nella città proibita, a Pechino, dietro ad un portone, dopo un cortile interno, se ne presenta subito un altro, e via via finché si arriva ad un piccolo giardino interno estremamente bello e suggestivo.

Ma così come nelle armature, o negli antichi gioielli o nelle antiche architetture vi scorgo un’idea di dedalo, di infinito, un dettaglio che ne nasconde subito un altro nel suo interno: é impossibile decifrarne il senso compiuto. La moltitudine fa sì che non vi sia un punto preferenziale. Questa cosa così diversa dalla nostra cultura “rinascimentale” che invece predilige un punto nello spazio a cui tutta una gerarchia di valori fa riferimento.

Mi è capitato di trovarmi in molti templi ed osservare questo carattere di molteplicità.

Così, i modelli da me realizzati contengono tutte queste impressioni: precari, fragili, essenziali ma al tempo stesso complessi.

Da qui sono poi passato alla costruzione delle installazioni.

 

Un altro aspetto importante e che metto nella mia valigia è sicuramente la nozione di “vuoto”. Ciò è così lontano dalla nostra visione occidentale più incentrata sul concetto di pieno e di materia.

Il vuoto è proprio un’altra dimensione. Il tè, la tazza vuota. L’attesa. Il paesaggio nella storia dell’arte cinese. L’architettura in relazione con la natura. Il concetto di  ”aperto”. Il Guqin. La musica. Il suono fatto di silenzi, dove anche il silenzio diventa parte integrante e materia plasmata nell’opera, alla pari del suono.

Ma questi sono tutti elementi della cultura antica cinese. Certo, se penso alla società attuale è tutta un’altra storia. Cioè, è questo più altre cose.

La società ha subito dei cambiamenti così vasti e quando penso ad una tale trasformazione così frenetica mi chiedo a cosa porterà di riflesso tale shock. Oppure: quando avverrà questo? Quale potrebbe essere la reazione?

La società cinese è cambiata molto rapidamente. Ha una storia molto diversa dalla nostra europea. Venti anni fa era totalmente diversa. Ma è troppo difficile per me capirlo. Bisognerebbe chiederlo agli storici, ai sociologi, agli psicologi, agli studiosi della società contemporanea cinese.

Io posso trarre alcuni spunti interessanti per un altro tipo di discussione.

 

Ho perso mia madre poco tempo prima della partenza per Shanghai.

È stato tutto così improvvisamente difficile ed estremamente complesso, trovarmi in un luogo così diverso e così lontano.

Ho avuto modo per rivedermi, come riflesso in uno specchio. Ho meditato a lungo sulla nostra essenza d’essere umani e sul concetto di precarietà per come siamo, così legati alle dimensioni di tempo e spazio, perennemente e precariamente passeggeri.

Sentivo il mondo interiore stravolgersi e in un certo senso volevo proteggere questa mia “cosa” intima, interiore, e/o comunque sentivo la necessità di meditarla e proteggerla questa “cosa”, da un mondo esterno altrettanto così tumultuoso, veloce, dinamico, esterno e ben poco delicato.

Così, ho vissuto questa forte energia e mi sono organizzato per non disperderla. Difficilissimo.

È stato un viaggio da solo, di profonda solitudine, nonostante fossi immerso in una “comunità” di varie persone all’interno dello Swatch Art Peace Hotel.

Probabilmente e inconsapevolmente in questa nuova installazione, dal titolo “Protection”, realizzata nel mio studio durante i quasi 6 mesi di residenza, ho mescolato elementi provenienti dalla mia ricerca pre-Shanghai ad elementi invece totalmente nuovi, trovati assorbendo le nuove esperienze.

Sicuramente se non fossi venuto in Cina non sarei mai riuscito a realizzarla.

In Protection, ci sono elementi che richiamano la prospettiva: l’idea di stanza interna o interiore, le relazioni tra finito e infinito, di unità e molteplicità. Il concetto di dimensione frattale.

Negli ultimi anni poi sto affrontando questo concetto di bordo, di “limine”, di spazio “soglia” tra la dimensione di finito e infinito. La dimensione d’attesa.

Questa è stata un’occasione per approfondire maggiormente tutti questi aspetti.

Ma che cos’è Protection? Una gabbia? Una stanza segreta intima? Uno spazio concentrato, una sorta d’energia concentrata? Un labirinto? Un mantra? È un abbraccio?  È una rete formata da maglie legate tra loro? È un sigillo? Una forte meditazione?

Probabilmente è tutto questo.

Protection è un’esplosione (o un’implosione). Protection è una porta, un passaggio, uno spazio di confine tra un esterno ed un interno.

Con mia grande sorpresa, qualche giorno fa, qualcuno mi ha detto che il mio nome “Paolo”, tradotto in cinese significa “protezione” (Protection).

 

 

Paolo Cavinato é nato nel 1975 in provincia di Mantova. Ha partecipato alla Biennale di Istanbul nel  2005. Nel 2008 ha vinto il 3° Premio della Fondazione Arnaldo Pomodoro. È stato membro della Royal British Society of Sculptors of London e recentemente è stato in residenza allo Swatch Art Peace Hotel di Shanghai.

Le sue installazioni sono state esposte in numerosi spazi pubblici e privati tra cui: Royal British Society of Sculptors di Londra, Il Palazzo delle Arti di Napoli, l’Egmont Park a Bruxelles, Galleria Civica di Modena, Volta in New York, Swatch Art Peace Hotel a Shanghai, Carrousel du Louvre a Parigi, Biennale di Istanbul, Volta Basel e Scope a Miami.

Paolo Cavinato ha partecipato al The Swatch Art Peace Hotel Artist Residency dal 18 maggio al 4 novembre 2014.

In occasione della residenza a Shanghai, Paolo Cavinato ha realizzato l’installazione “Protection”, che ha poi avuto sviluppo con “Protection #2”, proposto presso la sede espositiva della galleria The Flat a Milano. Questo nuovo progetto, "Resonator", rimane in mostra fino al 26 Giugno 2015.